Più c’è consolazione, più ci sono sostegno e conforto reciproci, più cresce l’unità e la solidarietà che cementano la comunità e la rendono un luogo dove si abita nella pace e nella fraternità.
Gesù si presenta a noi come profeta, cioè come colui che è venuto ed è in mezzo a noi per parlare in nome di Dio e per farci conoscere il Padre: Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua (Mc 6,4; Mt 13,57).
Cosa voglia dire essere profeta lo capiamo quando Ezechiele afferma: Uno spirito entrò in me (Ez 2,2). Questo stesso spirito lo fa alzare in piedi, cioè diventare visibile nel mezzo dell’assemblea, acquisire una voce che non possedeva prima e che non si spiega sulla base delle sue competenze umane. E poi c’è un invio: io ti mando ai figli di Israele (Ez 2,3), con un monito: Coloro ai quali ti mando, sono figli testardi e dal cuore indurito, non ti ascolteranno (Ez 2,4-5). Questo fa eco a quanto afferma Gesù nel Vangelo: l’esercizio del carisma profetico immancabilmente genera opposizione e rifiuto.
Il profeta disturba non solo perché siamo testardi e duri di cuore. Proprio perché il profeta fa conoscere Dio in modo più autentico, ci mette di fronte a qualcosa che non possiamo mai anticipare, contenere, conciliare con le nostre priorità sociali o politiche. La profezia ci obbliga costantemente a metterci in discussione, a verificare le nostre priorità, ad ampliare i nostri orizzonti. Ecco perché necessariamente ci scomoda e genera rifiuto e diffidenza. A nessuno piace essere scomodati. Ma per essere cristiani in modo autentico abbiamo bisogno di questo esercizio. Ed è anche la Chiesa come istituzione ad avere specialmente bisogno di profeti per verificare continuamente la propria fedeltà alla sua vocazione. Infatti, proprio perché è fondata sugli apostoli e ha ricevuto la garanzia di avere Gesù in mezzo ad essa, a causa della logica stessa della storia e della inevitabile sedimentazione delle istituzioni, la Chiesa è costantemente tentata di adagiarsi, di sclerotizzarsi, di diventare auto-referenziale. Ecco perché Paolo afferma che essa non è fondata solo sugli apostoli, ma sugli apostoli e sui profeti (Ef 2,20).
Questo vuol dire certamente che i ministri della Chiesa, cioè i successori degli apostoli, hanno il dono di insegnare e quindi sono anch’essi profeti come tutti i cristiani. Ma vuole anche dire che la Chiesa ha bisogno di persone con un carisma profetico speciale come Ezechiele. Ha bisogno non solo di ministri istituiti che garantiscano il funzionamento e la continuità istituzionale. La Chiesa ha anche bisogno di ‘disturbatori’, come lo erano i profeti dell’Antico Testamento, cioè di queste figure che sorgono all’improvviso nella storia, scuotono le coscienze, riconducono l’istituzione alla sua missione, le ricordano la sua responsabilità.
Nella storia della Chiesa, i più grandi esempi di profeti sono i santi, come per esempio Francesco, che all’inizio tutti considerano fuori di senno e che solo gradualmente è accettato, riconosciuto e alla fine addirittura dichiarato santo. La santità è la più grande forma di profezia, non quando è canonizzata, ma quando sorge inaspettata e invita tutti alla conversione e al ritorno al Vangelo.
La Chiesa dunque è fondata sugli apostoli e sui profeti. La vita religiosa fa parte del carattere profetico della chiesa. I fondatori di ordini religiosi hanno quasi sempre preso l’iniziativa indipendentemente dalla istituzione. In modo autonomo e inaspettato hanno ricevuto una grazia particolare, hanno sentito una chiamata e solo quando le loro comunità erano cresciute si sono presentati alla Chiesa istituzionale per ottenere il riconoscimento del loro carisma, cioè del fatto che la loro opera era stata ispirata dallo Spirito.
Profezia e istituzione sono spesso in tensione, ma poiché procedono dallo stesso Dio, alla fine si riconoscono vicendevolmente – ed in questo risiede la differenza tra profeti autentici e i falsi profeti contro i quali il Nuovo Testamento mette in guardia. Il vero profeta pur disturbando, pur sfidando, pur scuotendo l’istituzione, comunque non la rinnega, non se ne separa e alla fine è accettato da essa, anche se spesso a prezzo di lunghe e dolorose crisi e incomprensioni.
Questo riguarda non solo la Chiesa nel suo insieme, ma la vita di ciascuno di noi. Infatti, anche se il dono di diventare profeti è gratuito e imprevedibile, siamo invitati a coltivare l’aspetto profetico della nostra chiamata, cioè la libertà che ci dà la fede di ascoltare la Parola e di discernere la volontà di Dio nella nostra vita. Inoltre, della nostra identità cristiana fanno parte anche i doni dello Spirito Santo, e in modo particolare il carisma di profezia, il cui ruolo principale secondo Paolo è non solo quello di verificare ed esortare, ma anche e soprattutto quello di consolare. (1 Cor 14,3).
Se infatti ogni cristiano, per via del battesimo, è un profeta, quindi riceve missione di parlare nel nome del Signore, alcuni ricevono questo dono in modo specifico sotto la forma di un carisma. E il carisma di profezia è appunto quello che ci insegna a consolare, aiutare, sostenere i nostri fratelli e sorelle nella fede, in una maniera che non è soltanto umana, ma che viene da Dio. Questo dono – ci dice Paolo nella prima lettera ai Corinzi – è particolarmente importante, perché attraverso di esso si edifica la Chiesa (1Cor 14,4). E’ un dono che costruisce. Infatti più c’è consolazione nella chiesa, più ci sono sostegno e conforto reciproci, più cresce l’unità e la solidarietà che cementano la comunità e la rendono un luogo dove si abita nella pace e nella fraternità.
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